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NUMERO 6
La guardia del corpo degli investimenti
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EDITORIALE
GIANLUCA BALDINI Direttore responsabile Citywire Private Banker
Essere private banker oggi
Un concetto difficile, fumoso. Soprattutto in un settore, quello dell’intermediazione finanziaria, dove tutti si fregiano del ruolo di consulente di alto livello. Ma cosa significa oggi essere un private banker? Di recente, Aipb, l’associazione nazionale che racchiude le aziende private italiane, ha fatto sapere che un cliente private deve avere almeno due milioni di euro di patrimonio, comprendendo nel conteggio anche gli immobili. Solo chi ha clienti di questa portata può fregiarsi di questo titolo. Non sono mancate le critiche dopo questa affermazione. Sono stati in molti ad affermare che la soglia dovrebbe essere più alta. In effetti, oggi si sente ancora di più il bisogno di tracciare una linea di demarcazione tra consulenza retail e private banking. Ma, spesso, sono le reti stesse a non volere che questa differenza emerga. Risulta molto più conveniente in termini commerciali affermare che tutto il mondo della consulenza (anche quella più retail) sia private. È il mercato ad andare in questa direzione. Ormai, come è avvenuto in Inghilterra, la gestione dei patrimoni più piccoli è destinata ad avere non poche difficoltà in un mondo in cui i margini si riducono e il lavoro da burocrate aumenta. L’unica soluzione è puntare verso la clientela (almeno) affluent, il solo livello a partire dal quale si possono ottenere margini interessanti. Il vero problema si porrà per la clientela retail, destinata a ricevere advisory solo da un algoritmo via internet.
COMMUNITY : IL PUNTO DEI PRIVATE
SOFIA SANGALLI
L’inverno è ormai alle spalle, e il ritorno della volatilità che ha portato con sé ha lasciato un segno profondo sui portafogli e sull’umore della clientela. Tre professionisti ci parlano del loro approccio ai temi più “spaventosi” per i clienti e delle opportunità di asset allocation in previsione dell’estate
GIUSEPPE CANTO Ragusa
Gli eventi geopolitici sono il principale motivo di preoccupazione dei clienti. Qualsiasi conflitto nella penisola coreana o in Medio Oriente costituisce un evento negativo; la mancanza di una chiara visibilità e la probabilità – più che limitata – di un errore di stima sono per gli investitori fattori di cui tenere conto nelle decisioni di asset allocation. Le pressioni sui costi derivanti dalla regolamentazione e dalla volatilità di mercato e la difficoltà di ottenere i risultati, dovuta al persistente contesto di bassi tassi d’interesse, comportano per tutti una crescente ricerca di efficienza dal punto di vista dei costi nella gestione del portafoglio e delle passività. I mercati azionari globali hanno subito una brusca inversione all’inizio di febbraio, dopo aver registrato una lunga striscia di record, e la correzione di Borsa è stata principalmente guidata dalle implicazioni di operazioni di mercato piuttosto diffuse che scommettono su una bassa volatilità azionaria. La prospettiva a breve termine vede un’elevata incertezza, e questo può determinare cambiamenti di sentiment che, a cascata, possono stimolare ampie oscillazioni di mercato. Credo che gli investitori dovrebbero adottare un approccio di medio e lungo termine; la mia convinzione sulle prospettive economiche “ottimistiche” è che la correzione di Borsa rappresenti un’opportunità per aggiungere rischio ai portafogli.
LUCA CUCCHIANI Banca Generali - Milano
Dopo i record di gennaio, il ritorno improvviso della volatilità non ha risparmiato niente e nessuno: sia i portafogli più prudenti che quelli più esposti hanno visto l’orso azzerare in pochi giorni le performance positive faticosamente costruite nel 2017, e la cosa più preoccupante è che tutto questo è accaduto in un periodo stagionale statisticamente molto proficuo per l’esposizione al rischio. Siamo nella coda finale di un ciclo espansivo che dura da anni, perlopiù creato e mantenuto in vita artificialmente dalla costante manipolazione da parte delle Banche Centrali. Personalmente, credo che questo particolare momento storico vada gestito con la clientela in maniera diversa rispetto al passato: quotazioni azionarie elevate, obbligazioni carissime con scarso o nullo rendimento, cambi instabili, decorrelazioni saltate e quadro geopolitico in tensione rendono difficile interpretare la lettura dei prossimi mesi, per i quali nutro la sensazione che occorrerà più giocare di difesa che d’attacco. Di conseguenza, si impone una rilettura della composizione dei portafogli e una sostanziale riduzione della componente di rischio a loro associata – la maggioranza dei clienti risulta piuttosto ricettiva a questa sollecitazione –, quindi flessibili di qualità, esposizione direzionale al minimo, duration corta e/o negativa, strumenti alternativi (in primis global macro) in grado di abbassare la volatilità complessiva di portafoglio e un po’ di liquidità che potrebbe rivelarsi utilissima per sfruttare eventuali correzioni che ritengo probabili nel corso dei mesi estivi. Ritengo interessante anche l’utilizzo di certificate scelti con criterio, che possono creare flussi in entrata e permettere l’utilizzo di eventuali minusvalenze. Una cosa è certa: in momenti come questo, la figura del consulente risulta fondamentale nel percorso di crescita e di educazione della clientela.
MASSIMO SOGGIA Fideuram – Fideuram
I dodici mesi appena trascorsi sono stati ricchi di soddisfazioni per i clienti. Questo inizio d’anno è stato caratterizzato da un aumento della volatilità che tuttavia, secondo la mia esperienza, non ha creato in loro particolari turbamenti. L’approccio di consulenza che adotto, focalizzato sulla definizione delle esigenze e degli obiettivi di investimento nel tempo, ha senza dubbio permesso di gestire l’emotività dei clienti, rendendoli più consapevoli delle complessità dei mercati. Inoltre, da sempre il metodo gestionale utilizzato si focalizza su due fattori chiave: gestione dei rischi e flessibilità in termini di asset allocation per rivedere costantemente le strategie in relazione all’evoluzione dei mercati nel loro complesso. In un contesto caratterizzato da un appiattimento delle performance del mercato obbligazionario, unitamente a un ritorno – salutare – della volatilità, è crescente la richiesta di strumenti decorrelati o a bassa correlazione e di strategie alternative in grado di generare rendimento. Con riferimento a queste ultime, riscontro sempre più attenzione nei confronti del private equity e debt; sono convinto che nei titoli non quotati ci sia ancora valore e che passati correttamente all’interno dei portafogli dei clienti “consapevoli” offrono delle valide alternative alle tradizionali strategie di costruzione del portafoglio. Attuando sempre una gestione attiva, dal mio punto di vista oggi è necessario porre particolare attenzione ai prodotti obbligazionari e alle loro scadenze, prediligendo, in un contesto di rialzo dei tassi, la dinamicità del reddito variabile e selezionando attentamente i mercati che offrono maggiori opportunità di creare valore nel tempo.
COMMUNITY : Portafogli e Mercati
ANTONGIULIO STANIsCIA
Con il tema protezionistico cavalcato da Trump, la lotta commerciale tra Stati Uniti e Cina si fa sempre più dura, causando volatilità sui mercati. Quali soluzioni inserire in portafoglio per sfruttare questo contesto economico?
ANTONINO RIOLO Banca Generali - Padova
Premesso che, solitamente, il motivo principale per il quale intervengo sui portafogli è un cambiamento delle esigenze dei clienti, non si può negare che la lotta commerciale tra Stati Uniti e Cina, alla quale si è aggiunta l’escalation della guerra in Siria, potrebbe avere ripercussioni negative sui mercati e costringere la Cina ad arginare le minacce Usa sui dazi con una maggiore apertura dell’economia domestica a vantaggio degli operatori stranieri e dei consumatori interni. In questo contesto, gli emergenti dovranno fare affidamento sulla crescita della Cina nella speranza che lo scontro sui dazi con gli Usa non degeneri in una guerra commerciale. Ritengo che, analizzando i rischi e le opportunità, sia corretto un posizionamento neutrale sui mercati azionari e in questo contesto il sovrappeso di strategie alternative e flessibili rispetto a quelli direzionali si confermeranno, ancora una volta, come la miglior difesa per il patrimonio dei clienti. Impiego le strategie alternative perché riducono la volatilità, hanno una decorrelazione di lungo termine con asset class tradizionali, proteggono da forti ribassi e generano alpha. L’aggiunta di strategie quantitative adattive che, sfruttando l’enorme capacità di calcolo e in grado quindi di monitorare grandi quantità di dati, riducono la volatilità, completa la “difesa” del patrimonio dei clienti.
STEFANO CAMORALI Fideuram ISPB - Varese
Da pochi mesi stiamo assistendo a un ritorno della volatilità sui mercati azionari causato dalle crescenti tensioni geopolitiche fra le superpotenze di Stati Uniti e Cina – e non ultima la Russia, implicata nelle recenti vicende siriane. Il tema protezionistico cavalcato da Trump in campagna elettorale, che evidentemente era stato prezzato come “solita” promessa elettorale, ha trovato impreparati i mercati. Lo sviluppo di una guerra commerciale avrebbe un impatto macroeconomico importante e la guerra valutaria potrebbe gettare ulteriore benzina sul fuoco. Detto questo, quello che ci si augura è lo scenario negoziale, sulla falsariga della gestione delle tensioni fra Stati Uniti e Corea, partite con enfasi ma oggi decisamente più ammorbidite. Il consiglio che mi sento di dare è quello di accumulare sulla debolezza, utilizzando anche i cari – e sempre di moda – piani di accumulo. Il focus deve rimanere centrato sui reali obiettivi e sulle esigenze del cliente, con l’evoluzione della consulenza che si dovrà necessariamente spostare da finanziaria in senso stretto a patrimoniale.
ALESSANDRA DAL BORGO AlpenBank SPA – Modena
La tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina, come abbiamo visto in questi mesi, sta causando forti oscillazioni sul mercato; tutti hanno il timore di conseguenze che si potranno riflettere anche sulle crescite mondiali. La forte volatilità, però, va a stridere con alcuni dati molto importanti dell’economia reale, come i forti dividenti di grandi aziende e la crescita delle piccole e medie imprese. Secondo l’opinione comune, i mercati emergenti sono quelli che pagano di più durante le discese delle Borse perché devono fare i conti con situazioni rischiose, come le tensioni geopolitiche o strutture economiche e finanziarie più deboli. Va sottolineato, poi, che gli emerging non sono dei porti tranquilli dove rifugiarsi nelle fasi di tempesta. Tuttavia, evitarli del tutto potrebbe essere un errore grave. Le riforme che Trump vorrà portare avanti spingono a riflettere e a rimanere cauti nelle decisioni; è importante tenere sempre d’occhio la flessibilità molto veloce nei portafogli. Reputiamo che si debba guardare ai settori di efficienza, come consumi interni, tecnologia, robotica e investimenti esg, con approccio cadenzato periodicamente su azionario e, invece, strategie alternative flessibili o covered bond su asset obbligazionario.
Consulenza di classe
GIANLUCA BALDINI
COMMUNITY : In vetrina
Antonio Peccati si occuperà di Wealth Protection, un modello di consulenza per le eccellenze. Citywire ha parlato di questa novità – e non solo – proprio con il manager, che ha iniziato la sua carriera in Dival nel 1989
Antonio Peccati è un private banker che ha fatto la storia di Allianz Bank Financial Advisors. Con l’arrivo della nuova ad Paola Pietrafesa al posto di Giacomo Campora (da gennaio alla guida della Capogruppo Allianz Spa), Peccati si occuperà di Wealth Protection, la nuova struttura pensata per offrire consulenza ai grandi patrimoni. Come è iniziato il suo percorso? Nel 1989, dopo pochi anni nell’ambiente bancario, ho capito che spesso le banche offrono un servizio basato più sulla quantità che sulla qualità. A quel punto sono entrato in Dival (Distribuzione Valori, ndr) e ho capito che si poteva fare la differenza. All’inizio avevo cento clienti; poi, dopo tre anni, circa mille. Ho iniziato con l’area di Casatenovo, poi mi hanno affidato l’area di Lecco e successivamente Como, Bergamo, Brescia, Legnano e Varese. Nel 2007, Giacomo Campora mi ha proposto di lasciare Bergamo e Brescia per “prendere” Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, oltre alla Lombardia che già gestivo. Sono quindi stato area manager per 18 anni con oltre 18 miliardi di masse. Dal 2000 ho deciso di non avere più clienti come area manager e seguire solo i più importanti, la clientela private. Ho voluto far crescere i miei manager più bravi, Silvio Migliori e Giuseppe Ghisleni, per portarli a diventare gli area manager del domani: in questo modo posso dedicarmi pienamente al programma di Wealth Protection. Sono sempre stato a favore di una divisione private; per questo, nell’attività di reclutamento, ho cercato profili che vi si addicessero. Negli ultimi sei anni ho inserito in media cinquanta persone l’anno sul mio territorio. cos’è il programma Wealth Protection? Per i nostri più grandi professionisti e per i nostri migliori clienti, all’interno di Allianz Bank nasce Wealth Protection, un modello di servizio che vuole rispondere all’evoluzione del mercato e alle esigenze “sempre più sofisticate della clientela più sofisticata”, un modello di consulenza integrato e distintivo, che fa leva sull’expertise di protezione sviluppata come grande gruppo assicurativo da Allianz, vero fattore distintivo dell’offerta. Wealth Protection vuole puntare all’eccellenza, sotto tutti gli aspetti legati al servizio e al valore verso il cliente di grandi patrimoni. Racchiude al suo interno tutte le componenti classiche di wealth management unito alle forme più avanzate di coperture assicurative e di advisory. A oggi partiamo con oltre cinquanta wealth manager, ma l’intenzione è quella di far crescere questo numero in tempi brevi.
Il mercato italiano è pronto per MiFID 2? Siamo noi a dover preparare i nostri consulenti alla MiFID 2. Il motivo è semplice: la clientela deve essere motivata a pagare per un servizio di livello. Se un’automobile offre standard elevati di sicurezza, è normale pagarla un prezzo adeguato. Un private banker preparato e che ha lavorato bene non avrà problemi con la nuova direttiva. Certo, sarà facile gestire la normativa europea con risultati positivi; se il risultato sarà negativo il discorso sarà diverso. Il cliente, tuttavia, deve essere consapevole che, anche in caso di mercato in flessione, con il nostro supporto ha comunque avuto un risultato migliore rispetto a quello che avrebbe ottenuto con il fai da te. La componente di servizio e la centralità del cliente saranno il vero focus del futuro. Il consulente wealth o private manager deve avere una visione più ampia, che sia in grado di offrire tutti i servizi che rispondano alle esigenze di una clientela evoluta, come quella, ad esempio, degli imprenditori. L’evoluzione del mondo private, quindi, è oggi il mondo wealth. C’è chi dice che i margini, con la MiFID 2, diminuiscono, mentre la burocrazia aumenta. I margini si ridurranno sicuramente, ma credo che contestualmente le masse aumenteranno. Il nostro modello di consulenza integrato ed evoluto ha una carta vincente rispetto ad altri modelli tradizionali per la collaborazione attiva col mondo assicurativo. Si tratta di proteggere i patrimoni importanti, e noi dobbiamo – e vogliamo – presidiare questa nicchia di mercato. Quali sono le sfide del private banking oggi? Dobbiamo poter offrire una moltitudine di servizi, dal grande studio legale alla capacità di poter rimettere in piedi, in poco tempo, un’azienda ferma a causa di un’emergenza climatica. È importante quindi far percepire al cliente tutti i volti del servizio che ogni giorno offriamo; una pluralità che, come detto prima, non sempre i sistemi tradizionali riescono a rendere efficace, soprattutto quelli di più piccole dimensioni. Alcune famiglie si possono affidare a un servizio meno costoso, senza tuttavia prendere in considerazione a quali rischi espongono il loro patrimonio. Che ruolo ha la tecnologia nella sua professione? Il cliente vuole la relazione; dietro, però, ci vuole una grande tecnologia a supporto. Il nostro business richiede una tecnologia che abilita e supporta la relazione, non che la sostituisca. Lavoriamo in un settore più “lento” rispetto a quello della grande distribuzione. Stiamo investendo molto per gestire i big data: forniamo dati che possono essere utili ai consulenti finanziari sul territorio. La tecnologia è quindi un alleato importante, ma lo è di più la relazione con il cliente, una relazione personale che si basa sulla fiducia e sulla solidità del nostro gruppo, che può vantare indici patrimoniali e rating ai più alti livelli del mercato.
JYRKI RAUHIO
Mangia o verrai mangiato
L’articolo è stato realizzato con il contributo Audrey Raj
Daniele Barzaghi
COMMUNITY : Il banker oltre confine
Il responsabile di Citi PB nel Sud-Est asiatico, Jyrki Rauhio, ha concesso a Citywire la sua prima intervista nel nuovo ruolo
“Mangia o verrai mangiato” è la logica che guida le società di private banking in Asia meridionale, in quella immensa area che comprende, a oggi, Singapore, Indonesia, Tailandia, Filippine, Malesia, Brunei, così come Australia, Nuova Zelanda e l’India onshore e offshore. “Il continente asiatico rappresenta l’area di maggior crescita delle attività per qualunque operatore internazionale”, evidenzia il private banker finlandese Jyrki Rauhio, neo-responsabile di zona per Citi Private Bank, che ha concesso a Citywire la prima intervista nel nuovo ruolo. “Abbiamo 50mila persone che lavorano in quest’area e l’anno scorso abbiamo garantito 256 miliardi di dollari di masse in gestione sui 460 detenuti in tutto il mondo dalla banca” rivendica il pb dal suo ufficio di Hong Kong, sottolineando come a lato dei clienti istituzionali, sempre maggiore attenzione in quest’area ricoprono i clienti uhnw (ultra-high-net-worth, ndr), con investimenti (non ricchezza) superiore ai dieci milioni di dollari”. Essere private nel Sud-Est asiatico “Se Singapore rappresenta per tutti la base delle attività di private banking della regione, l’Indonesia (quarto Paese al mondo per popolazione, ndr) offre i vantaggi di un mercato immenso, rilanciato dalle riforme del governo Jokowi come il condono fiscale totale effettuato nel 2017; senza dimenticare il potenziale di crescita di Tailandia e Filippine”, spiega Rauhio. “Questi ultimi due Paesi rappresentano un buon esempio di come stia evolvendo l’industria del private banking da queste parti” prosegue il finlandese. “I tailandesi stanno dimostrando grande interesse per il settore del risparmio gestito, e i capitali nazionali hanno ripreso a circolare fuori dai confini del Paese. Le Filippine, invece, hanno vissuto una massiccia crescita economica e demografica (oltre 100 milioni di abitanti, ndr) proprio in questi ultimissimi anni e hanno, al momento, un’enorme ricchezza ancora non investita. Le regole stanno cambiando e, in particolare, stanno venendo meno numerosi vincoli per gli investimenti all’estero. “Il mercato indiano, diversamente, si poggia su due gambe: quello nazionale e quello dei capitali off-shore depositati a Singapore, legati all’enorme comunità indiana residente nel resto dell’Asia. Questa seconda componente, che storicamente affidava la propria ricchezza a gestioni basate in Svizzera o Londra, ha iniziato massicciamente a prendere in considerazione delle alternative in area”, continua il manager. “Gli ultimi dieci anni hanno rappresentato un giro di boa anche in Australia, un mercato un tempo considerato una miniera d’oro ma da cui, negli ultimi anni, sono uscite diverse banche europee e entrati numerosi istituti cinesi, giapponesi e taiwanesi. Secondo Rauhio, i clienti australiani sono soprattutto legati al mercato azionario americano e property, “commisto a immobiliare britannico e nuovi investimenti in Cina. A differenza dei neozelandesi, più propensi a investimenti nel mercato nazionale, visto il rally del settore turistico”. Il futuro della professione “I clienti stanno diventando estremamente accorti e non vi è dubbio che la sfida dell’immediato futuro sia concentrata sui servizi digitali, sia per i giovani che per i più anziani. Le filiali sul territorio stanno diventando rapidamente storia. Bisogna riconoscere che”, ammette Jyrki Rauhio, “in questo ambito il segmento del private banking sconta un ritardo di un decennio rispetto alle divisioni retail. Anche la robo-advisory è stata concepita per un cliente con pochi capitali e si dimostra del tutto inadatta nella gestione dei portafogli complessi”. Conclude il private banker: “I nostri clienti si dimostrano ancora timorosi rispetto questo modello di consulenza automatizzata e non penso che la offriremo molto presto negli anni a venire. Le intelligenze artificiali sono interessanti ma, per ora, soltanto come proposta di investimento”.
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[1] Farm Structure Statistics, Eurostat 2018 [2] Hydroponics and the future of farming, BigPicture Education 2016 [3] A sustainable model for intensive agriculture, University of Sheffield 2015 [4] Population 2030, UN 2015
Fonte: Dickson Despommier «The Vertical Farm», Zoubeir Azouz Architecture, Technologist Magazine 2015
Fonte: Pictet Asset Management
Nel grafico è possibile vedere il trend in crescita delle ricerche della parola “healthy” su Google dal 2004 in poi. I picchi corrispondono all’inizio dell’anno. È infatti molto comune iniziare l’anno con il buon proposito di adottare uno stile di vita più salutare, per poi abbandonarlo nei mesi seguenti. Con un piccolo rialzo quando arriva l’estate. L’importante è però tenere in mente la linea rossa che indica la crescita costante dell’interesse in questo campo negli ultimi 15 anni. Il dibattito sulla vita sana deve dunque tenere conto anche del comportamento umano e dei tempi necessari per la sua evoluzione. Nella nostra ricerca di opportunità di investimento legate a questo interessante trend, vogliamo oggi parlare delle sfide dell’agricoltura e di Pictet-Nutrition, uno degli strumenti che intendono cavalcare questa dinamica. Infatti coltivare piante senza l’utilizzo del terreno può contribuire a sfamare un mondo in crescita, in un’epoca in cui la percentuale di terreno coltivabile si riduce sempre più. Nei 28 Paesi dell’UE, quasi la metà del suolo è costituita da terreno agricolo1. Tuttavia, la probabilità che i prodotti vegetali che mangiamo siano coltivati senza terra è sempre maggiore, dato l’aumento della coltura fuori suolo.
Sebbene solo ultimamente la coltivazione fuori suolo abbia raggiunto una maggiore notorietà, l’idea è conosciuta da parecchio tempo. Fin dal XIX secolo, gli scienziati avevano dichiarato che le piante possono svilupparsi anche senza l’utilizzo del terreno. E non sono neanche stati i primi, in quanto gli aztechi già avevano realizzato fattorie galleggianti e nel XIII secolo i cinesi avevano fatto altrettanto con i giardini. Con le tecniche e le attrezzature giuste, è possibile coltivare piante in acqua o anche in un ambiente nebulizzato. Applicando una soluzione nutriente direttamente sulle radici della pianta in un ambiente controllato, un agricoltore può garantire alle piante una crescita ottima e costante2. Ciò rende la pianta più produttiva. La coltivazione idroponica, un metodo diffuso di coltivazione fuori suolo, è utilizzata soprattutto per coltivare pomodori, lattuga, cetrioli, peperoni ed erbe aromatiche. Tuttavia, questa tecnica può essere applicata teoricamente a qualsiasi coltivazione. Meno terreno coltivabile, più bocche da sfamare Una spinta importante alla base dell’aumento della coltivazione fuori suolo è la diminuzione del terreno coltivabile. Negli ultimi quarant’anni, il pianeta ha perso circa un terzo della superficie totale adatta all’agricoltura3. L’erosione e l’inquinamento sono i principali responsabili della perdita di terreno coltivabile ed entrambi sono riconducibili al riscaldamento globale. Malgrado un impegno crescente per combattere questo fenomeno, ci vorrebbero anni per invertire la perdita di terreno coltivabile. Tuttavia, con l’avanzamento delle tecniche agricole, gli agricoltori sono riusciti ad aumentare il volume della loro produzione. Ciò è importante soprattutto considerata la crescita della popolazione mondiale. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7,6 miliardi a 8,5 miliardi nel 2030 e che, entro il 2050, saremo quasi 10 miliardi4. “La coltivazione fuori suolo può svolgere un ruolo importante nello sfamare un numero crescente di persone”, afferma Marie-Laure Schaufelberger, Product Specialist del fondo Pictet-Nutrition. Un’importanza sempre maggiore nella catena alimentare Uno dei principali vantaggi della coltivazione fuori suolo è la possibilità di sfruttare la superficie verticale, risparmiando spazio. Sovrapponendo diversi strati di piante gli uni sugli altri grazie all’utilizzo di vasi speciali, il rendimento per metro quadro è molto superiore rispetto a quello delle coltivazioni tradizionali. Inoltre, probabilmente vi sarebbero meno problemi legati a parassiti e malattie. Le serre possono essere costruite praticamente ovunque, diversamente dall’agricoltura tradizionale, che pone limiti di carattere ambientale. “Le iniziative su piccola scala stanno aumentando”, afferma Schaufelberger. “Tuttavia saranno i grandi progetti a produrre un impatto notevole sulla nostra economia agricola. Lo scorso anno, all’interno di un magazzino nel New Jersey (Stati Uniti) è nata la più grande vertical farm al mondo. Ha un potenziale di raccolto pari a circa 1 milione di chili di verdura fresca l’anno, senza l’utilizzo di terreno, pesticidi o luce solare. Le informazioni che riceveremo da questi progetti renderanno possibile costruire impianti ancora più grandi e consentiranno alla coltivazione fuori suolo di svolgere un ruolo significativo nella catena alimentare.” Questo articolo fa parte di una serie di articoli che analizzano i temi che guidano i nostri fondi tematici dedicati al tema “Healthy Living” che costituisce il focus principale del nostro tradizionale ciclo di incontri del Roadshow Estivo in partenza a fine maggio che toccherà 12 differenti città italiane e che sarà contraddistinto da numerose sorprese per i nostri graditi ospiti.
Oggi parliamo di vita sana...No, non sono impazzito e sebbene possa sembrare un argomento quantomeno curioso per i professionisti degli investimenti, proviamo a capire come investire negli stili di vita salutare possa far bene anche ai portafogli. Il concetto di cos’è “sano” varia da persona a persona. Ad alcuni, fa venire in mente immagini di persone che fanno jogging, ad altri di centrifugati verdi o di cibi non proprio invitanti. Per altri ancora significa semplicemente godersi la vita con i propri cari. Com’è possibile dare un senso a tutte queste definizioni e arrivare a un’interpretazione chiara degli ultimi dati scientifici per capire che cosa costituisce una vita sana? Duemila anni fa i romani dicevano semplicemente «Mens sana in corpore sano». Oggi sono sempre di più le persone che dedicano a salute e stili di vita più salutari una crescente porzione di tempo, energie e dei propri risparmi.
FRANCESCO COSMELLI
La metamorfosi dei PB
Igor Pakovic
COMMUNITY : A TU PER TU
Francesco Cosmelli racconta del bilancio delle attività di Banca Ifigest nell’ultimo anno e dei progetti per il futuro, in un processo di continuo cambiamento e innovazione
Da marzo del 2016, Francesco Cosmelli è il responsabile del private banking di Banca Ifigest, dopo 25 anni a Banca Akros. Durante la sua carriera, l’industria della gestione dei grandi patrimoni ha conosciuto diverse fasi di metamorfosi dei mercati finanziari, tra ondate regolari di rinnovamento tecnologico e normativo. Di come Banca Ifigest intenda cavalcare questa perenne onda, delle sfide e degli obiettivi che il manager e la sua banca si sono posti per il futuro, Citywire Private Banker ne ha parlato con Cosmelli. Qual è stato il suo background professionale prima di approdare a Banca Ifigest e diventarne il responsabile del private banking? Ho iniziato nel 1984 a J.P. Morgan a Milano nell’ambito della tesoreria e poi sono diventato responsabile del capital market per l’Italia, ma prima ero già stato nominato responsabile dell’attività di gestione del rischio tassi e cambi nel corporate. Dopodiché sono passato in Akros nel 1991, diventando prima responsabile dei mercati esteri e poi, nel 1997, del private banking. In Akros, che nel frattempo è diventata Banca Akros, ho lavorato per 25 anni, fino al 2015, per poi approdare a Banca Ifigest. Quali sono gli obiettivi per il futuro? Il 2017 e l’inizio di quest’anno sono stati di crescita. Abbiamo superato i 3 miliardi di euro in termini di asset gestiti, mentre in termini di reclutamento di nuovi private banker non abbiamo visto una crescita particolarmente dinamica. Detto questo, siamo in linea con gli obiettivi del piano triennale che ci dovrebbero portare a una crescita del 10% l’anno dal 2017 al 2019. Non ci sono state aperture di nuove filiali, anche perché siamo ben radicati sul territorio della Toscana, oltre, ovviamente, a Roma, Milano, Torino e Genova. Se dovessimo trovare un gruppo di persone sufficientemente ampio e competente, nulla vieta di piantare una decima bandierina. In ogni caso, cerchiamo di concentrarci su poche piazze ma con molta funzione. Dal punto di vista dei reclutamenti, l’obiettivo sarebbe quello di inserire almeno cinque nuovi private banker ogni anno. Come descriverebbe il vostro cliente tipo? I nostri clienti appartengono alla fascia che va dai 500mila ai 3 milioni euro. Il taglio medio dei nostri clienti si aggira poco sotto il milione di euro. Per quel che riguarda il profilo tipico di un nostro cliente, contiamo qualche imprenditore ma la maggioranza è composta da professionisti o persone che vivono di rendita. Non abbiamo aziende. Un’altra area di crescita che abbiamo evidenziato nell’ultimo biennio è, invece, quella dei clienti istituzionali, dove eravamo poco presenti e ora ci stiamo sviluppando notevolmente. Tra questi abbiamo fondazioni, banche, enti non a scopo di lucro ed enti religiosi. Come si articola la vostra attività nel campo delle gestioni patrimoniali? Tendiamo a seguire i nostri clienti attraverso un approccio personalizzato, il che non è un aspetto banale: offriamo un servizio personalizzato per qualsiasi tipo di investimento, anche se, chiaramente, i gestori hanno delle linee guida precise e di conseguenza investono secondo criteri quantitativi e qualitativi organizzati. Ciò non toglie che si possa modificare la gestione in modo tale da soddisfare qualsiasi tipo di aspettativa.
L’articolo è stato realizzato con il contributo di Giovanni Cuniberti, professore di Finanza Aziendale e Mercati Finanziari, Università di Torino
Piccolo mondo moderno
INVESTMENT : Macroanalisi
C’è aria di cambiamento sui mercati: si procede verso la fine del QE in Europa e un ulteriore aumento dei tassi in Usa. In lontananza, la possibilità di un’altra rivoluzione tecnologica. Ecco come difendersi da un possibile cambio di scenario globale in un’ottica di economia reale
L’andamento macroeconomico dei primi mesi del 2018 ha mostrato segnali di rallentamento su due delle principali aree che monitoriamo nella nostra analisi di scenario: i dati sulla fiducia e i Pmi. Il Sentix mette a segno la quarta rilevazione consecutiva in diminuzione e inferiore alle attese; situazione simile per l’Ifo tedesco che torna sui valori del 2013. I Pmi, pur rimanendo ben lontani dalla soglia spartiacque della recessione posta a 50, mostrano un rallentamento che li riporta su valori di inizio 2017. Meglio, invece, gli Usa, sostenuti da una earning season molto buona con un tasso di crescita fra i migliori degli ultimi sette anni. Nel passato il rallentamento di questi dati macroeconomici ha spesso generato l’inizio di turbolenze e un aumento della volatilità, fattori che potremo rivedere nel periodo estivo. Il mercato globale, però, rimane guidato dagli Usa, che vivono una fase di assestamento in attesa di conoscere le prossime mosse della Fed; senza poi dimenticare la riforma fiscale, che potrebbe migliorare i bilanci e dare visibilità a nuovi fasi di buy back. La situazione è quindi delicata: come possiamo difenderci da possibili cambi di scenario in un mondo che va verso la fine del QE in Europa e un ulteriore aumento dei tassi in Usa? Tutti questi segnali farebbero pensare a un ciclo che sta per rallentare. Il mercato, però, riserva spesso delle sorprese: siamo alle porte di una vera rivoluzione tecnologica che porterà il mondo verso nuove necessità e migliorie di vita. Questi cambiamenti, ancora non percepibili in Italia, stanno portando il resto del mondo a ridurre la quantità di poveri e a aumentare il numero di persone che consumeranno con un beneficio su scala mondiale. Le innovazioni in ambito medico, la blockchain e i progetti paralleli, il trasporto elettrico: questi sono solo alcuni esempi di come questo cambiamento creerà nuove professioni e ne distruggerà altre, come già successo negli anni 2000. Dal punto di vista operativo, siamo di fronte a un bivio fra attesa e ricerca di rendimento. Sul mercato obbligazionario la linea è tracciata con l’obiettivo di preservare il capitale dal rischio tassi investendo sul variabile e sull’inflazione, monitorando attentamente il tasso fisso legato a singole storie aziendali particolarmente solide. Sicuramente le soddisfazioni in termini di rendimento non saranno quelle degli ultimi sei anni, ma una gestione attiva e prudenziale potrebbe comunque portare rendimenti superiori all’inflazione reale. L’azionario rimane e rimarrà lo strumento per generare rendimento. Considerando la possibile instabilità di scenario, la soluzione potrebbe derivare da una diversificazione metodologica: un approccio quantitativo per poter cavalcare i trend nel caso in cui il mercato continuasse a salire, e un approccio più value che vada oltre alla solidità aziendale e al flusso dei dividendi e che analizzi il vantaggio competitivo duraturo dell’azienda. Capire se il prodotto presente e il progetto di crescita aziendale potranno essere ancora presenti sul mercato tra dieci anni è una sfida operativa. Le materie prime e le valute, per la loro complessità e i loro legami ai fattori geopolitici, rimangono sempre una mina vagante, anche se risultano, in alcuni contesti, gli unici strumenti che possiedono ancora una correlazione inversa rispetto a quelli azionari e obbligazionari. Le principali criticità future derivano dalla situazione geopolitica, dove la strategia dei dazi di Trump risulta, dal punto di vista economico, incomprensibile ma sottende l’obiettivo degli Usa di difendere l’unica arma su cui hanno ancora supremazia a livello mondiale: il know how intellettuale. Il dialogo fra i vari continenti ha vissuto con Trump il brusco stop del progetto Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, ndr) per la creazione di una superpotenza economica commerciale tra Europa e Usa per contrastare il dominio cinese, inserendo ulteriori incertezze sulla sorte del nostro continente che rischia, nel lungo periodo, di rimanere indietro rispetto alle grandi innovazioni in arrivo da est e ovest. La regola della diversificazione degli asset è così sempre valida ma non in modo smisurato, perché le statistiche dimostrano che la troppa diversificazione porta un aumento dei costi a una riduzione dei rendimenti. “In medio stat virtus”, la virtù sta nel mezzo, mi sento ripetere da anni; e probabilmente è vero, ma è difficile porre dei paletti tra il troppo e il troppo poco. Esistono però delle occasioni operative che la rivoluzione tecnologica potrebbe regalarci prima di quanto possiamo immaginare.
Parola d’ordine: prudenza
massimiliano malandra
INVESTMENT : uno sguardo ai mercati
Listino per listino, diamo uno sguardo ai fattori che concorrono a delineare una congiuntura favorevole per i mercati, in cui una predilezione per le azioni può apportare benefici ai portafogli
Un “numero soglia” ha tenuto banco negli ultimi mesi sui mercati finanziari: il 3%, corrispondente al tasso di rendimento del decennale governativo statunitense. Uno yield che è idealmente ancorato ai tassi di lungo termine americani ma che è tornato sotto i riflettori degli investitori per il suo movimento marcato: in sei mesi, il decennale Usa è infatti passato dal 2% al 3%. La prudenza dimostrata dai mercati di fronte al superamento di questa soglia – significativa anche se puramente simbolica – lascia infatti un interrogativo: questo rialzo dei tassi di interesse deve preoccupare gli investitori? “Attestato al 3%, il decennale americano è ancora lontano dal livello del 5% raggiunto nel 2007, e la struttura dell’economia americana è nel frattempo cambiata”, mette in chiaro Olivier De Berranger, Cio di La Financière de l’Echiquier. “Si è contratto il peso del debito delle famiglie, ormai non più sovraindebitate. Del resto, se l’impatto di un incremento dei tassi può pesare sui consumi portando le famiglie a chiedere meno prestiti, l’aumento dei redditi disponibili a seguito della riforma fiscale andrà a compensare questo effetto. Le aziende americane, dal canto loro, si sono nuovamente indebitate negli ultimi anni, anche se con una certa moderazione. I bassi tassi di interesse dell’ultimo decennio hanno contribuito a limitare l’aumento del servizio del debito, tornato vicino ai livelli di inizio 2012. Ancora una volta, la riforma fiscale potrebbe svolgere un effetto di compensazione. Il taglio alle imposte e gli incentivi fiscali per il rimpatrio degli utili hanno consentito alle aziende di migliorare la loro capacità di autofinanziamento, limitando in questo modo la necessità di tornare a indebitarsi a tassi più elevati”. Nel frattempo, la Federal Reserve è tornata ad assumere un atteggiamento piuttosto dovish – così è stato interpretato sui mercati il concetto di “simmetria” nel controllo della crescita dei prezzi presente nel comunicato di inizio maggio – e dal mercato del lavoro sono giunti segnali contrastanti. Se da un lato, infatti, la disoccupazione è scesa sotto la soglia del 4% (al 3,9% per la precisione, il più basso livello dal 2000), dall’altro la creazione di nuovi posti di lavoro è stata decisamente sotto le attese, confermando quindi la debolezza già evidenziata nei mesi precedenti. “Tenendo conto anche delle pressioni inflazionistiche, la crescita salariale ha veramente deluso”, commenta Filippo Diodovich, market strategist di IG. “Una debole crescita salariale porta ad avere dubbi sulla spesa per consumi nel 2018 e, in generale, sullo stato di salute dell’economia americana. Aumentano così le probabilità che entro fine anno gli ulteriori rialzi del costo del denaro possano essere solamente due, uno a giugno e uno tra settembre e novembre”. Anche da questa parte dell’Atlantico la Bce continua a mantenere il proprio atteggiamento rassicurante; nella riunione di maggio, infatti, La Banca Centrale Europea non ha cambiato la propria politica monetaria: il recente peggioramento è stato spiegato da fattori temporanei (condizioni meteorologiche, scioperi, rischio protezionistico, ecc.) e ha rappresentato una sorta di normalizzazione dopo un 2017 di forte crescita (2,4%, la più alta dal 2007). L’inflazione core, del resto, rimane contenuta, ma le prospettive economiche sono ancora favorevoli, e da Francoforte ci si continua ad aspettare un graduale aumento dell’inflazione, anche se per ora i vari indicatori di inflazione di fondo restano modesti e non mostrano segni di un significativo andamento al rialzo. Nel frattempo, però, l’attuale ritmo di 30 miliardi di euro di acquisti netti di asset continuerà fino alla fine di settembre (e magari anche oltre). Azionario Usa Un picco a 2.870 a fine gennaio, una picchiata fino a 2.532 nella prima decade di febbraio; ma dopo quattro mesi, nel 2018 l’S&P500 alla fine è ancora sui livelli di fine 2017. Insomma un nulla di fatto, almeno per ora. “A livello regionale, gli Usa rimangono il mercato azionario più costoso, il che lascia una limitata possibilità di ulteriore crescita”, mettono subito in chiaro da Pictet. “Inoltre, le aspettative degli investitori per la crescita degli utili di quest’anno delle società comprese nell’S&P500, attualmente al 19,5%, sono coerenti con una crescita del Pil nominale statunitense del 6%, un dato che pare improbabile”. “La fragilità del mercato è un problema meno grave negli Stati Uniti, dove la decisione di iniziare a smantellare il QE deve ancora dimostrare la sua carica dirompente”, aggiunge William Davies, Responsabile azionario globale per Columbia Threadneedle Investments. “Tuttavia, le politiche portate avanti da Trump potrebbero procurare qualche grattacapo. Gli stimoli e le riforme fiscali, per quanto favorevoli al mercato nel breve periodo, a lungo andare potrebbero alimentare l’inflazione. A fronte delle pressioni esercitate da Trump per l’introduzione di dazi sulle importazioni – e la conseguente minaccia di una guerra commerciale – che solleva rischi di contromisure da parte della Cina e di altri paesi, gli Stati Uniti potrebbero assistere a un rialzo dell’inflazione associato al rallentamento dell’economia globale”. Intanto, però, i risultati del primo trimestre delle grandi corporate statunitensi hanno riportato ottimismo sui mercati. Le grandi banche, con il concretizzarsi di un netto rialzo degli utili, hanno riportato numeri in linea con le attese, anche se i mercati sono rimasti delusi dalla poca crescita dei crediti e dalle performance in chiaroscuro delle banche di investimento. E buoni risultati ha riportato anche il comparto tecnologico, atteso al varco dopo i recenti movimenti che avevano scosso il settore; rimane comunque il settore in cui sono stati più elevati gli investimenti negli ultimi anni a livello di operatori istituzionali e privati. Azionario Europa “In Europa, la situazione non è più favorevole come nel secondo semestre del 2017”, delinea Adrien Pichoud, Chief Economist di Syz Asset Management. “Gli indicatori economici hanno perso leggermente terreno rispetto ai massimi dello scorso anno, in parte perché la loro corsa non poteva durare all’infinito ma anche a causa di difficoltà di più breve termine, come l’impatto ritardato del maggior vigore dell’euro sugli esportatori europei, in particolare, in un contesto caratterizzato da crescenti tensioni commerciali a livello globale. Inoltre, dopo qualche mese di tregua la politica italiana è nuovamente fonte di preoccupazioni per i progetti Ue”. E se l’economia del vecchio continente rallenta, anche il mercato azionario non brilla: l’EuroStoxx50 è in guadagno di circa due punti percentuali da inizio anno dopo il massimo relativo di gennaio e il bottom di marzo. “Il dollaro debole continuerà a pesare sui listini europei, dove gli investitori negli ultimi due anni hanno concentrato le loro posizioni lunghe”, mette in guardia Maurizio Novelli, gestore di Lemanik. Più positivi invece ad Allianz Global Investors: “La congiuntura nell’area euro si conferma solida, con tassi di crescita superiori al potenziale; tuttavia, il picco economico potrebbe essere già stato superato. Oltre alla Germania, anche un’altra nazione con un peso rilevante nell’eurozona come la Francia, dove l’indicatore del sentiment del settore manifatturiero ha evidenziato un calo dopo aver toccato il massimo degli ultimi 17 anni lo scorso mese, potrebbe gradualmente perdere slancio. Il ciclo degli utili societari in Europa è in una fase decisamente meno avanzata rispetto agli Usa: il miglioramento a livello dei margini prosegue. I temporanei effetti negativi dell’apprezzamento dell’euro potrebbero gradualmente ridursi e un aumento degli utili aziendali del 4-6% appare realistico”. Azionario Emergenti In questo primo scorcio di 2018, nemmeno i mercati emergenti hanno offerto grandi soddisfazioni agli investitori. “Pur essendo preoccupati per gli attuali livelli elevati di propensione al rischio nei mercati emergenti, in un’ottica di lungo periodo nutriamo ancora un certo ottimismo riguardo alle opportunità offerte dalla asset class agli investitori azionari, grazie soprattutto alle tendenze demografiche incoraggianti, come l’aumento della popolazione e del reddito medio in alcune zone del mondo in via di sviluppo”, spiega Glen Finegan, Head of Global Emerging Market Equities, di Janus Henderson Investors. “Da un po’ di tempo continuiamo ad affermare che le valutazioni di molte società asiatiche di buona qualità ci sembrano eccessive, il che si riflette ovviamente nell’attuale posizionamento della strategia. Preferiamo inserire nel portafoglio società quotate in mercati che risentono in particolare del calo delle materie prime, ovvero Brasile, Cile e Sud Africa. Lo shock economico ha reso le valute più deboli, le valutazioni più interessanti e ha aperto alla possibilità di migliorare la governance”. “I mercati emergenti sono ancora sottovalutati del 25% rispetto ai mercati sviluppati”, calcola però Sean Taylor, Chief Investment Officer for Asia Pacific di Dws. “La crescita degli utili prevista è pari infatti al 15% quest’anno e il prossimo. Interessanti grazie alla solida crescita e al continuo processo di riforme saranno il passaggio della Cina ai consumi, l’inflazione contenuta in Brasile e la costante crescita elevata del Pil in India, che beneficerà anche delle riforme del premier Modi e di maggiori afflussi verso gli investimenti domestici”. Più in generale, il Pil del continente asiatico dovrebbe crescere – nelle stime riviste di recente al rialzo – del 3,9% quest’anno, ma le condizioni di mercato si prospettano più difficili e le opportunità di investimento, secondo gli operatori, ci sono, anche se il potenziale di rialzo risulta in buona parte già scontato. “Siamo molto fiduciosi nella crescita asiatica e cinese”, concludono da Dws. “Sarà più domestica, più contenuta rispetto al passato ma di migliore qualità, a seguito delle pressioni governative per ottenere migliori rendimenti, sia in termini di margini e ritorni sul capitale investito sia in termini di dividendi”.
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Lo storico fondo specializzato sul mercato azionario italiano, nato nel 1992, è gestito da Settimio Stigliano ed è in versione Pir. Sui 12 mesi (fino a marzo 2018) ha registrato una performance complessiva del +11,1% (13esimo in classifica) con una perdita massima del 4,8% (15esimo posto) e una deviazione standard dell’11% (19esimo). Con un benchmark costituito da Ftse Mib (75%) e Ftse Italia mid cap (25%), a fine marzo il fondo era fully invested (99,1% del patrimonio) con una ovvia prevalenza sui titoli dell’area euro (868,5%) cui si aggiungevano anche azioni Uk (3,4%), Usa (7,7%) e Asia (2,37%). Dal punto di vista settoriale, la prevalenza era su titoli del comparto finanziario (32,6% del fondo), consumi ciclici e utility (15% entrambi), poi industriali (13,2%) ed energia (10,7%). Il portafoglio è ampio (113 titoli a fine marzo), con un’incidenza 53,8% per quanto riguarda le top 10 holding. Enel (9,2%), Unicredit (8,9%) ed Eni (8,4%) sono le prime tre posizioni, seguite da Intesa Sanpaolo (7,7%), Generali (4,5%) e Fca (3,6%).
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Deflussi: -87,56 milioni di euro
Arca Azioni Italia
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Al decimo posto in classifica per rendimento totale sui 12 mesi con un +11,6%, Anima Geo Italia è gestito da Luigi Dompè (rating A di Citywire): una performance ottenuta con una deviazione standard dell’8,4% e una perdita massima del 3,4% (secondo posto in entrambe le graduatorie). Con un benchmark composto per il 95% dal Comit Performance e per il 5% da un indice monetario, il fondo è investito per l’83% sull’Italia, per il 3,5% sulla Germania e il 3,3% sulla Francia. Il breakdown a livello settoriale a fine aprile evidenzia la sovraponderazione del comparto finanziario (33,2% del fondo contro il 29% del benchmark); a seguire i settori più importanti sono l’energia (13,3%), le utility (11,7%) e l’industria (10,5%), mentre la principale sottoponderazione è sui beni voluttuari (86,4% contro il 17,8% del benchmark). Eni (7,7%), Intesa SanPaolo Rsp (6,1%), Beni Stabili (6%) e Unicredit (5%) sono le principali posizioni a livello di singoli titoli. La share class ha una dimensione di 223 milioni di euro.
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Deflussi: -135,86 milioni di euro
Anima Geo Italia
I
Il patrimonio del fondo, gestito da Alberto Chiandetti, alla fine del primo trimestre era di 652 milioni. Con il Ftse Italia All Share come indice di mercato, il fondo aveva in portafoglio 42 holding a fine marzo, con una minore concentrazione rispetto all’indice di riferimento: i primi dieci titoli valevano infatti il 51,3% del patrimonio contro il 58,5% dell’indice. Le principali posizioni erano su Unicredit (10%), Intesa Sanpaolo (9,6%), Enel (7%) ed Eni (5,9%). Dal punto di vista settoriale, il comparto finanziario era quello più gettonato (38%), seguito da quello industriale (15,1%), da utility (12,7%) e beni di consumo (9,5%). Sui tre anni l’indice di Sharpe si posiziona a 0,10, mentre il beta è stato di 0,84 e l’alfa annualizzato di -1,11. A 12 mesi (fino a marzo) il fondo registra una performance complessiva del 9,7% (26esimo in classifica), con una perdita massima del 5,3% e una deviazione standard dell’11,2% (22esimo in graduatoria).
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Deflussi: -156,69 milioni di euro
Fidelity Funds
Fondi azionari Italia: i migliori e i peggiori da inizio anno
INVESTMENT : Hot and Cold
Gestito da Luigi Degrada (rating AA per Citywire), Fonditalia Equity Italy vanta un rendimento del 9% su un orizzonte temporale di tre anni (11esimo su 35) contro il 6% medio del settore, con una deviazione standard del 16,4% e una perdita massima del 24,9%, mentre sui 12 mesi incassa un rendimento complessivo del 10,1% (e una perdita massima del 4,6%). La dimensione della share class è di 402 milioni. A fine aprile il fondo era investito per il 95,4% in azioni (4,6% cash), di cui l’81,4% in equity italiano (poi 6% Uk, 3,6% Lussemburgo e 2,2% Olanda e Svizzera). Finanziari (29,3%), utility (15,2%) beni di consumo (14,9%) e industriali (12%) sono i settori più rilevanti del portafoglio. A livello di singoli titoli, invece, Eni (7,9%), Enel (7,7%), Intesa SanPaolo (6,4%), Unicredit (5,7%) e Generali (4%) costituiscono le principali posizioni del fondo. Nel 2017 il fondo ha registrato un aumento del 18%, mentre nel primo trimestre è in guadagno dello 0,9 per cento.
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Afflussi: 26,11 milioni di euro
Fonditalia Equity Italy
Amundi Dividendo Italia ha registrato un rendimento totale negli ultimi 12 mesi (fino a marzo 2018) del +8,9% (+10,1% la media del settore) classificandosi al 29esimo posto su 36 peer, mentre è all’ottavo per quanto riguarda la deviazione standard (9,8%) e all’11esimo per perdita massima (-4,5%). Gestito da Elena Ferrarese, il fondo, a fine aprile, era principalmente investito in titoli finanziari (24,2% del portafoglio), industriali (20,4%) e consumi ciclici (14%). Il comparto azionario valeva l’88,7% della massa gestita, mentre le obbligazioni erano all’8,4% e la restante parte (poco meno del 3%) era in liquidità. In netta crescita l’indice di Sharpe: è pari a 0,18 sui tre anni, ma a un anno sale a 0,75. Rimane invece stabile il beta: 0,96 sui tre anni e 0,89 negli ultimi 12 mesi.
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Afflussi: 34,56 milioni di euro
Amundi Dividendo Italia
Tra Pir e ripresa dell’economia italiana, ecco quali sono i fondi che hanno attirato maggiormente l’interesse degli investitori in tutto il mondo e quelli che hanno subito l’emorragia di flussi più pesante
Gestito da Massimo Trabattoni (rating A per Citywire), Target Italy è un comparto della sicav di diritto lussemburghese Kairos Alpha Sicav ed è un fondo feeder che investe almeno l’85% del suo patrimonio in quote del comparto Kairos International Sicav – Risorgimento (a fine dicembre 2017 ne deteneva l’87,05%). Il comparto ha l’obiettivo di far crescere il capitale nel medio-lungo termine, cercando di cogliere le opportunità offerte dalle inefficienze del mercato azionario italiano attraverso una gestione non tradizionale degli attivi. Il team di gestione punta infatti a costruire un portafoglio con titoli azionari che possano sovraperformare l’indice di riferimento utilizzando allo stesso tempo strumenti derivati per sterilizzare quasi totalmente il rischio strutturale di mercato. Risorgimento, a fine aprile, era investito prevalentemente in titoli finanziari (32,3%), beni ciclici (20,6%) ed energia (14,7%). Eni e Intesa Sanpaolo (entrambi sopra il 9%), Unicredit (7,5%), Enel (6,9%), Exor e Fca (entrambi al 4,5%) sono i principali titoli in portafoglio.
Settore: Azionario Paesi Europei / Italia Afflussi: 58,44 milioni di euro
Kairos Alpha Sicav Target Italy
Con un rialzo di oltre il 10% da inizio anno, il Ftse Mib è tra i migliori listini azionari dei Paesi sviluppati; una performance che bissa il buon risultato ottenuto nel 2017 con un +14,5%. A spingere le quotazioni, oltre alla sottovalutazione del mercato azionario italiano, hanno principalmente contribuito due altri fattori: in primo luogo la ripresa dell’economia italiana, cresciuta oltre le attese a un +1,5%, cui ha fatto da contraltare una lieve discesa del rapporto tra indebitamento e Pil (131,5%); in tutto questo, va comunque ricordato come a fine 2017 la capitalizzazione della Borsa italiana valesse ancora poco meno del 40% del prodotto interno lordo del nostro Paese. Il secondo fattore è stata la normativa sui Pir che, entrata in vigore a febbraio, ha iniziato a dispiegare i propri effetti dall’estate, convogliando consistenti flussi di denaro verso le società quotate. A giugno 2017, il target del governo – peraltro già rialzato rispetto alle prime stime – era di dieci miliardi di flussi per il 2017 e di 50 miliardi in cinque anni, e infatti Assogestioni ha calcolato che per l’intero 2017 la raccolta è stata pari a 10,9 miliardi di euro. Il flusso degli acquisti ha quindi contribuito a migliorare la liquidità dell’intero mercato: secondo Banca d’Italia, nei primi nove mesi del 2017 il totale degli attivi delle famiglie italiane in fondi comuni è passato da 474 a 517 miliardi, gli investimenti diretti in azioni da 53 a 67 miliardi. Nella rassegna di questo trimestre ci siamo così focalizzati sui fondi azionari Italia registrati per la vendita in Italia che negli ultimi sei mesi (fino a marzo 2018) hanno attirato maggiormente l’interesse degli investitori in tutto il mondo e quelli che hanno subito l’emorragia di flussi più pesante.
FRANCESCO LOMARTIRE Responsabile di SPDR ETFs per l’Italia
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1 Negoziazioni frequenti in ETF potrebbero aumentare in modo significativo le commissioni e gli altri costi e andare così a compensare eventuali risparmi dovuti alle commissioni e ai costi contenuti. 2 Fonte: Barclays POINT. 3 Fonte: Barclays POINT, rating medio di Moody’s, S&P e Fitch. 4 Fonte: Barclays POINT, su un periodo di 5 anni, al 29 dicembre 2017. 5 Fonte: Bloomberg, al 29 dicembre 2017. * Trattandosi di un ETF lanciato recentemente non ha ancora un track record di performance
Quali sono le caratteristiche fondamentali dell’esposizione Global Aggregate e in che modo accedervi? L’esposizione a questo indice, utilizzata come base per un’allocazione obbligazionaria core o come potenziale fonte di diversificazione dalle obbligazioni domestiche, può contribuire a migliorare la frontiera efficiente, poiché l’elevato livello di diversificazione può ridurre la volatilità e migliorare i rendimenti corretti per il rischio rispetto agli altri indici obbligazionari governativi. Gli investitori hanno tradizionalmente avuto accesso a questa esposizione attraverso l’utilizzo di fondi comuni, ma gli ETF, con le loro caratteristiche di liquidità e trasparenza, stanno giocando un ruolo sempre maggiore. Il nostro SPDR Bloomberg Barclays Global Aggregate UCITS ETF* (Ticker: GLAG IM nella versione a cambio aperto, GLAE IM in quella con copertura in euro), con il suo TER dello 0,10%, offre agli investitori un veicolo economicamente efficiente1 per ottenere un’esposizione obbligazionaria globale diversificata tra governativi e corporate. Può descrivere l’esposizione Global Aggregate più in dettaglio? L’indice replicato dal nostro ETF, il Bloomberg Barclays Global Aggregate Bond, costituisce un benchmark ampio dei mercati obbligazionari investment grade e fornisce esposizione in 24 valute locali a bond governativi o assimilabili, societari e obbligazioni cartolarizzate a tasso fisso di emittenti di paesi sia sviluppati che emergenti. La composizione settoriale è rimasta relativamente stabile nel tempo, con i titoli di Stato che ne costituiscono la componente principale, pari al 50% circa2. In termini di rating l’indice contiene principalmente titoli AAA3, anche se abbiamo assistito ad un graduale deterioramento del credito dovuto all’impegno dei governi nel sostenere le proprie economie e il settore privato tramite incremento del deficit. Anche la crisi economica ha pesato sulla qualità complessiva degli emittenti corporate; tuttavia, il rating medio dell’indice rimane elevato a AA2 / AA33. I principali benefici sono quindi in termini di diversificazione? La diversificazione costituisce l’elemento chiave dell’esposizione obbligazionaria Global Aggregate. L’indice consente infatti di esporsi ad oltre 21 mila emissioni di ben 2.441 emittenti2 che spaziano dalle obbligazioni governative, a quelle corporate, ai titoli garantiti da ipoteche (mortgage-backed) o emessi da agenzie. L’indice offre esposizione a 24 valute di 71 paesi, di cui il 5,4% sui mercati emergenti. La natura diversificata dell’indice Global Aggregate si traduce in una minore correlazione con i mercati “tradizionali” in termini di rendimenti annualizzati. E per gli investitori che sono in cerca di rendimento? Storicamente, l’indice ha offerto un rendimento superiore rispetto ai titoli di stato locali, con una duration generalmente inferiore.3 Lo Yield to Worst dell’indice ha superato quello di diversi indici obbligazionari governativi europei. Questo extra rendimento è dovuto alla componente a spread di alcuni titoli che fanno parte dell’indice, in particolare le obbligazioni corporate investment grade e il debito cartolarizzato. Come si è comportato l’indice Global Aggregate rispetto ad altri indici? Nel complesso, l’ampia diversificazione dell’indice Global Aggregate si traduce in una minore volatilità e migliori rendimenti corretti per il rischio rispetto agli indici obbligazionari governativi globali. Lo Sharpe Ratio dell’indice Global Aggregate su 1,3,5 e 10 anni è più alto rispetto a quello del Global Treasury Index4. L’ampia diversificazione dell’indice Global Aggregate implica la presenza di componenti dell’indice che registrano performance differenti in base alla fase del ciclo economico. Ad esempio il segmento delle obbligazioni sovrane offre una potenziale protezione contro l’ampliamento degli spread delle obbligazioni non governative, come avvenuto a seguito del crollo di Lehman Brothers alla fine del 2008. Gli attivi rischiosi, d’altra parte, offrono invece un potenziale di rialzo nei periodi di “risk-on”, come nel contesto economico recente. Nel 2017, il segmento corporate ha sovraperformato rispetto ai titoli governativi poiché la ripresa sincronizzata globale ha favorito i mercati del credito. Anche il debito dei mercati emergenti ha registrato buoni risultati durante questo periodo.
Innocenzi (Aipb): gli 800 miliardi del risparmio private possono contribuire all’economia reale
“L’industria del private banking – con quasi 800 miliardi di euro gestiti, pari a più di un terzo del Pil italiano – è consapevole di poter ricoprire un ruolo concreto per la crescita del Paese”, ha sottolineato Fabio Innocenzi (in foto), presidente dell’Associazione Italiana Private Banking (Aipb) con attenzione al tema “Generare performance nei futuri scenari economici: gestioni innovative, strumenti alternativi ed economia reale”.
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Il gruppo Fideuram riorganizza le aree geografiche: ecco i nuovi perimetri 2018
Ispb riduce le aree da 16 a 14. Fideuram Ispb e Sanpaolo Invest passano rispettivamente da 5 e 2 macrozone a 7 e 3, affidate agli area manager Albertario, Boscariol, Castelvero, Evangelisti, Grandi, Pietanesi, Roccato, Vanin e Ventura.
Colafrancesco ha comunicato ufficialmente alla rete l’uscita dal gruppo Fideuram
Matteo Colafrancesco, attuale presidente di Sanpaolo Invest e Fideuram Vita, ha indirizzato una mail ai suoi collaboratori, salutando ufficialmente le banche-reti Fideuram.
Il meglio di Citywire.it
I 10 trend dell’industria del risparmio che stanno caratterizzando il 2018
il meglio di citywire
Il ritorno delle banche agli investimenti, le filiali legate al marketing e alla gestione delle lamentele, la limitata operatività da cellulare e la risurrezione degli istituti tradizionali sono solo alcuni dei trend di quest’anno secondo Accenture.
L’articolo è stato realizzato con il contributo di Atholl Simpson
La “Reina” del Private
BUSINESS : All’altro capo del private
Citywire ha intervistato Adela Martín che, dall’estate 2015, guida la divisione di consulenza per grandi patrimoni del Banco Santander
“Era agosto, un fine settimana. Al telefono riconobbi la voce della figlia di un nostro cliente che mi chiamava per ringraziarmi: la loro private banker di famiglia aveva infatti ‘salvato la vita’ di suo padre. Disse così, letteralmente, ‘salvato la vita’. Stavano trascorrendo infatti una vacanza all’estero, con difficoltà di comunicazione, quando il padre stette male e soltanto grazie ai servizi di private banking offerti dalla nostra banca poterono far arrivare un elicottero e rientrare a casa per un trattamento d’urgenza”. Adela Martín, responsabile della divisione private della prima banca di Spagna, il Banco Santander, e di masse per circa 95 miliardi di euro, cita questo aneddoto come esempio del livello di servizio al cliente cui devono tendere i private banker di cui è capofila. Per Adela Martín, che occupa la propria posizione dall’estate 2015 (dopo sei anni al timone del segmento private di Bankinter), il primo scopo di un private banker deve essere la protezione della persona e del patrimonio, prima ancora che pensare al guadagno. Dove investire Con il ritorno della volatilità e l’aumento degli interessi sovrani che sembra caratterizzare il 2018, la sua squadra di investimento sta sovrappesando la rendita variabile, con un’esposizione massima del 60% sull’azionario. Sottopesato risulta invece il reddito fisso, con un’accentuazione degli attivi in gestione alternativa, come private equity o immobiliare nelle metropoli globali. “In termini geografici, è aumentato il peso di Europa, Spagna e Giappone” puntualizza la manager, “ma sul lungo periodo si guarda a India, dove le riforme strutturali saranno volano per la crescita; poi Asia extra Giappone, Russia, Polonia – ancorata al commercio dell’eurozona – e Brasile. Per quanto concerne i settori, nel primo semestre abbiamo seguito i titoli europei legati a consumi ciclici, industria ed energia, mentre, per gli investimenti statunitensi, siamo stati più legati a finanza e tecnologia. Energie alternative e infrastrutture (trainate da Trump, asse franco-tedesco e Banca asiatica dello sviluppo) sono segmenti che offriamo e proponiamo ma, poichè sono caratterizzati da una minor liquidità dei settori tradizionali, seguiamo rigorosi criteri di diversificazione”. Al fine di generare maggiore alpha, Martín e i suoi private banker si affidano agli analisti del gruppo, specializzati per settore. “Prima di selezionare un fondo avvengono due passaggi: determinare quali fondi vantano il miglior rapporto rischio-rendimento tra uno e tre anni e analizzare – e su questo passiamo davvero molto tempo – non tanto il prodotto, quanto il processo di investimento e il team di gestione responsabile. Una volta effettuata la selezione dei migliori fondi per ogni classe di attivi inizia il processo di investimento con una strategia continuamente revisionata da un comitato a questo delegato. Ogni giorno”, precisa la responsabile private di Banco Santander, “dobbiamo essere pronti a modificare la gestione in base alle esigenze del cliente”. Il futuro della professione “L’evoluzione del mestiere di private banker, dal mio punto di vista, a Madrid, seguirà essenzialmente tre direttrici” aggiunge la manager della prima banca di Spagna. “Innanzitutto, l’adeguamento alla MiFID 2. Un argomento niente affatto concluso, poiché la trasparenza dei costi trasformerà radicalmente l’intera catena del valore, parallelamente a maggiori richieste da parte della clientela. In secondo luogo, le aumentate esigenze di consulenza derivanti dalla combinazione di ciclo economico, ritorni attesi da parte delle principali asset class e ferite rimaste dalla non lontana crisi finanziaria. E, in ultimo” conclude Adela Martín, “la rivoluzione digitale che renderà la prossima generazione di clienti estremamente diversa da quella attuale, in termini sia di richieste, sia di esigenze”.
MASSIMILIANO ALTOMARE
Roberta Mozzachiodi
Peer to peer lending: il fisco agevola il prestito tra privati
BUSINESS : Osservatorio legale
Il P2P può diventare un’alternativa al tradizionale canale bancario: ecco quali sono i vantaggi e le cautele da adoperare
Conosciuto anche come P2P, il peer to peer lending, commenta Mark Meldon di Meldon &Co, “è figlio di internet e nasce in un contesto di tassi di interesse molto bassi. Se questi inizieranno a calare, perderà il suo fascino”. La nascita di questo strumento innovativo che permette di finanziarsi passando attraverso delle piattaforme di credito online invece che tramite gli istituti bancari – utilizzato sia per investitori privati che istituzionali – risale al 2005, quando nel Regno Unito fu creata la prima piattaforma Zopa. Questa, appena lanciata, totalizzò ben 1.5 milioni di prestiti. Cifre in leggera discesa nell’ultimo anno, che hanno, infatti, registrato tra le tre piattaforme principali nel Regno Unito, accanto a Zopa, Funding Circle e Rate Setter, prestiti per circa 3.2 miliardi di sterline. Il fenomeno non pare però mollare la presa: piattaforme P2P leader di mercato, quali Funding Circle nel Regno Unito e Atlanta negli Stati Uniti – quest’ultima diffusa nel mercato di investitori istituzionali –, sono prossimi a candidarsi Ipo, un’offerta al pubblico iniziale attraverso la quale ottenere la diffusione dei propri titoli finalizzata all’ammissione alla quotazione su un mercato regolamentato. Questo modello di prestito “snello” in un mondo dominato da internet deve però fare i conti con i rischi derivanti da una mancanza di trasparenze delle condizioni applicate ai contratti di prestito, da possibili malfunzionamenti delle loro infrastrutture informatiche e da tassi di insolvenza superiori alle attese che potrebbero minare la solvibilità degli intermediari autori di ingenti investimenti in prestiti originati tramite piattaforme. Ne parliamo con il dott. Massimiliano Altomare, senior associate dello studio tributario Facchini Rossi e soci. Le autorità hanno fornito una definizione di peer to peer lending? Banca d’Italia definisce il social lending – ovvero il peer to peer lending come identificato dal legislatore nella Legge di bilancio 2018 – come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme online, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”. Si tratta in sostanza di un canale di finanziamento alternativo a quello bancario. Qual è il regime fiscale per gli investitori? Prima dell’entrata in vigore della Legge di bilancio 2018, i proventi derivanti da peer to peer lending, se percepiti da persone fisiche (non imprenditori), erano qualificati quali redditi di capitale in quanto assimilati agli “interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti”. Tali proventi concorrevano dunque alla formazione del reddito complessivo dei finanziatori scontando la tassazione mediante applicazione della aliquota progressiva dell’Irpef con obbligo di espressa indicazione nella dichiarazione dei redditi. Con la Legge di bilancio 2018, invece, il regime fiscale delineato è stato radicalmente modificato; infatti, a far data dal 1° gennaio 2018 tali proventi sono assoggettati a imposizione mediante applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta – applicata direttamente dai gestori delle piattaforme di peer to peer lending – pari al 26%, con evidente risparmio fiscale per tutti i finanziatori la cui aliquota marginale ecceda il 26%; inoltre, per effetto della tassazione a titolo definitivo, viene meno anche l’obbligo di indicazione degli stessi nella dichiarazione dei redditi del beneficiario. Si applica l’Iva all’attività svolta dalle piattaforme di peer to peer lending? Le piattaforme offrono sostanzialmente un servizio di marketplace ai propri utenti, facilitando, quindi, l’incontro tra la domanda di finanziamenti e l’offerta di risorse finanziare in cambio di una commissione generalmente pagata dal prenditore. Tale servizio, sebbene la questione sia in corso di analisi da parte degli organi competenti, è stato considerato rilevante ai fini Iva (cfr. Working Paper del Vat Committee n. 836 del 6 febbraio 2015) e assimilato a una prestazione di servizi di intermediazione a cui si rende applicabile il regime di esenzione qualora lo stesso si sostanzi in servizi finanziari, quali, ad esempio, la gestione dei pagamenti e/o la gestione dei trasferimenti di denaro tra gli utenti. Chi sono i potenziali investitori del peer to peer lending? Trattandosi di un canale di finanziamento alternativo rispetto a quello bancario, il peer to peer lending si rivolge principalmente a famiglie e piccole imprese, tanto per ampliare le proprie fonti di finanziamento, quanto come valida alternativa qualora tali soggetti dovessero incontrare difficoltà nell’accesso al credito tramite il canale bancario. Per i finanziatori, invece, rappresentano un’alternativa per diversificare i propri investimenti e risultano quindi appetibili a tutti gli investitori, siano essi privati che istituzionali.
Con che cliente hai a che fare?
BUSINESS : Il settore a raggi X
Il tradizionalista, il distaccato, il distratto e l’ingaggiato: ecco le quattro tipologie di cliente secondo il report di Aipb
È stato presentato da Aipb, l’Associazione italiana private banking, il dodicesimo Osservatorio sulla clientela private in Italia. Il report, dal titolo “Segmentazione della clientela e consulenza finanziaria – Le personas nel Private Banking”, è stato realizzato dall’Ufficio Studi dell’Associazione in collaborazione con Gfk. L’edizione 2017 della ricerca si sviluppa in un contesto particolare, fortemente caratterizzato dagli impatti della nuova normativa europea in materia di tutela dei risparmiatori, la MiFID 2. “Per realizzare lo studio”, ha sottolineato Federica Bertoncelli, “sono state condotte oltre 600 interviste personali su un campione di decisori finanziari rappresentativo dell’universo di riferimento, ossia le famiglie con patrimonio finanziario complessivo superiore a 500.000 euro (circa il 2,5% delle famiglie italiane). Grande novità di questa edizione dell’Osservatorio”, ha proseguito la responsabile dell’Ufficio Studi Aipb, “è l’introduzione di una nuova classificazione per meglio codificare le diverse tipologie di cliente private. La classificazione si è quindi basata sull’utilizzo di profili – personas – basati sulle caratteristiche attitudinali espresse dai clienti tramite l’intervista”. I risultati del report Dopo la forte crescita rilevata dal 2006, negli ultimi tre anni il livello di soddisfazione del cliente private si è stabilizzata, mantenendo comunque dei livelli molto elevati, superiori al 75%. Anche in termini di servizio ricevuto, di soddisfazione per la consulenza e per la gamma di prodotti arrivano lievi segnali di erosione, non preoccupanti, ma nemmeno da trascurare. I prodotti rimangono la componente su cui, insieme ai costi, il cliente esprime meno entusiasmo. La soddisfazione per il referente, dopo aver raggiunto nel 2016 il massimo storico, quest’anno registra un significativo calo, che trova parzialmente riscontro nel più lieve calo della valutazione della competenza professionale. Con mercati che hanno registrato una buona performance, la soddisfazione per la gestione degli investimenti rimane sostanzialmente stabile. Il mercato sembra aver raggiunto un buon equilibrio informativo, con livelli di soddisfazione stabili negli ultimi quattro anni; il calo dell’indicatore sui costi potrebbe essere precursore, in quest’area, di un 2018 in cui si parlerà molto di trasparenza. I quattro clienti del mondo private La segmentazione proposta ha caratterizzato quattro differenti approcci dei clienti nella relazione con il servizio di consulenza finanziaria. L’analisi ha definito quindi quattro cluster, mettendo in evidenza attitudini e attese nettamente distinte che suggeriscono l’opportunità di sviluppare strategie e tattiche che tengano conto di queste peculiarità per risultare efficaci. Il tradizionalista Approccia i servizi nel modo più consueto: la consulenza è gestione degli investimenti e tempo a lui dedicato. Crede nel bilanciamento tra banca e banker; è soddisfatto ma conservatore. Il distaccato Necessita del servizio, ma non sembra ancora aver ancora trovato la formula di consulenza a lui congeniale. Desidera guidare la relazione con la banca, ma al contempo lamenta uno squilibrio e vorrebbe un supporto maggiore. Il distratto È un cliente soddisfatto, ma disinteressato riguardo le tematiche finanziarie per come gli sono state finora proposte. Non essendo interessato, non ha modo di valorizzare e apprezzare a fondo ciò che riceve. L’ingaggiato È il cliente “perfetto”: competente, interessato, fidelizzato e ambasciatore della sua banca. Pronto a ricevere nuove proposte, per lui la consulenza è molto di più che gestione degli investimenti, è vero e proprio wealth management. Lo studio ha poi tracciato i profili dei quattro segmenti attraverso differenti punti di osservazione, quali: • l’approccio alla ricchezza • la relazione con la loro banca principale • l’interesse alla gamma d’offerta • le reazioni ad alcune novità introdotte da MiFID 2 • la soddisfazione del servizio Ha messo inoltre in evidenza alcune possibili “ricette” per consolidare e rinvigorire la relazione con il cliente. Una relazione sana, fondata su elementi solidi quali la fiducia e il reciproco rispetto, abilita la banca e il banker a costruire insieme al cliente un servizio di consulenza a vero valore aggiunto che vale la pena scegliere fra altri servizi. Conclusioni Gli esiti della ricerca sicuramente consolidano il private banking come servizio che ha guadagnato nel tempo un ruolo centrale per il cliente e quindi pressoché irrinunciabile. D’altra parte, l’Osservatorio 2017 si è concentrato sulla segmentazione della clientela per tracciare possibili percorsi di sviluppo che consolidino la distintività del private banking, avvalorandone il profilo di servizio d’eccellenza. Per candidarsi come principale interlocutore nella gestione della ricchezza, il private banking dovrà sempre più sviluppare strategie basate sulla capacità di ascolto del cliente, una capacità che consentirà di recepirne le principali caratteristiche e quindi i bisogni, per poi definire prodotti e servizi adeguati a rispondere a questi bisogni. Un’accurata segmentazione della clientela sembra poter portare opportunità di sviluppo del business, concentrando l’attenzione e il tempo del banker sugli ambiti di maggior interesse del cliente e nelle modalità più efficaci. L’attenzione a queste tematiche potrebbe generare vantaggi competitivi, aiutando il cliente a cogliere le distintività dell’operatore con cui ha una relazione e portarlo a superare l’impressione di un’offerta piatta e indistinta del settore. Dalla ricerca emerge infine un’evidenza rassicurante sugli effetti della maggiore trasparenza introdotta da MiFID 2 che non sembra generare minacce di abbandono massiccio da parte dei clienti, i quali, un po’ ostaggi e un po’ sprovvisti di alternative, non si mostrano proattivi verso il cambiamento. E mentre le “minacce” sono scongiurate, sembrano invece esserci delle opportunità finora non colte.
Pierpaolo Zampini e Dario Mortini, foundatori di FinLibera Spa
Da advisor ad imprenditore
BUSINESS : Il capitano d’industria
La startup FinLibera Spa, fondata da Dario Mortini (ex consulente) e Pierpaolo Zampini, è tra le venti società immobiliari europee con più alto tasso di crescita nella classifica Europe’s Fastest Growing Companies
“Io vengo dal mondo del risparmio gestito. Gestivo un team di 40 persone e sono tuttora un consulente finanziario iscritto all’albo, anche se non esercito più da diversi anni. Ho provato a portare qualche elemento di innovazione nel settore bancario come, ad esempio, quando aprii uno sportello bancario in franchising; ma negli anni della crisi – tra il 2007 e il 2008 – mi resi conto che il mondo della finanza non faceva più per me. Eravamo diventati degli ingranaggi, delle marionette nelle mani delle grandi società finanziarie che ci hanno usato. Questa è la verità: per vendere dei prodotti spazzatura, carpendo la nostra buona fede, attraverso di noi hanno perpetrato delle vere e proprie ruberie ai danni dei clienti finali. Non mi ritrovavo più in quel mondo e ho cominciato ad allargare i miei orizzonti.” Dario Mortini sintetizza così le premesse che lo hanno portato, insieme al suo socio Pierpaolo Zampini, a fondare nel 2011 FinLibera Spa, premiata come una delle venti società immobiliari europee con più alto tasso di crescita nel triennio 2013-16 all’interno della classifica FT1000: Europe’s Fastest Growing Companies, redatta dal britannico Financial Times. Una società, si legge nell’homepage del sito, “libera da esposizioni bancarie e finanziarie tradizionali”, che “si avvale della fiducia di un crescente gruppo di investitori privati (i business angels) per realizzare imprese sostenibili, a impatto ambientale zero e di importante valore sociale”. “Quando insieme a Pierpaolo abbiamo fondato FinLibera, oggi titolare del progetto MilanoStanze.it, avevamo bisogno di finanziamenti, come tutte le startup. Non volevamo però dipendere dal mondo delle banche e, cinque giorni dopo la fondazione della società, abbiamo emesso un prestito obbligazionario, che ho collocato ai miei clienti. Sono andato a raccontare a una cinquantina di clienti un sogno che avevo al di fuori della finanza, offrendo loro in prestito un bond molto ben remunerato, al 7% fisso, coerente con i tassi di quegli anni. Ovviamente non eravamo nessuno: stavo proponendo di investire in un’azienda fondata una settimana prima. In questo senso è stato fondamentale il rapporto costruito negli anni con i clienti, poichè anche se i mercati – soprattutto negli anni appena precedenti – avevano dato gioie e dolori, la buona fede da parte mia esisteva e mi è sempre stata riconosciuta”, continua l’imprenditore. “Erano normali risparmiatori. Una cinquantina scarsa. E, in una settimana, abbiamo collocato loro un prestito obbligazionario che complessivamente si aggirava intorno ai 490mila euro; tutto quello che avevamo deciso di collocare. Con quel capitale siamo partiti”. “Arriviamo ai giorni nostri”, accelera l’imprenditore dal 20° piano del Bosco Verticale di Milano, dove ha sede la società. “È nostro orgoglio dire che quel bond che aveva durata decennale – scadeva infatti nel 2021 – è stato da noi rimborsato totalmente a febbraio di quest’anno, con tre anni di anticipo. Quindi abbiamo pagato gli interessi e abbiamo restituito il capitale. E questo oggi ci differenzia dal mondo delle banche che, viceversa, non pagano gli interessi e non rimborsano il capitale ai risparmiatori.” “È evidente che 25 anni alle spalle di rapporti con i clienti mi hanno agevolato in questo senso, tuttavia quella del prestito obbligazionario è una strada che spesso non viene nemmeno considerata e suggerita ai piccoli imprenditori. Ritengo invece che un piccolo imprenditore, se ha avuto una vita intellettualmente onesta, abbia vicino a sé delle persone che credono in lui e che probabilmente sarebbero anche disponibili a investire in un’iniziativa nuova ed emozionante. Pertanto, quella del corporate bond autonomo è certamente una via che potrebbe essere percorsa con maggior frequenza. In Italia è sempre mancata l’abitudine degli imprenditori di affrontare la finanza direttamente, disintermediando le banche. C’è da dire, però, che negli ultimi due o tre anni cominciano ad aprirsi nuove strade. Ci sono piattaforme di crowdfunding, di lending” afferma fiducioso Mortini. “L’incontro professionale con Pierpaolo Zampini, concretizzatosi dopo dieci anni di amicizia, è stata l’unione delle mie competenze finanziarie e delle mie relazioni con le sue capacità di architetto e di informatico”. “Dopo questa premessa non stupirà infatti che la nostra società si chiami FinLibera, pur operando in ambito immobiliare”, prende la parola Zampini, amministratore delegato del gruppo. “Io da circa vent’anni avevo iniziato a selezionare e prendere in affitto appartamenti in cui vedevo un valore inespresso. Con piccole ristrutturazioni riuscivo a esprimere il loro potenziale e a guadagnarci affittandoli a mia volta. Già intorno al 2006, a Milano, era evidente che la richiesta stava crescendo fortemente e mi resi conto che non potevo più occuparmene da cittadino privato, con gli utili tassati e senza la possibilità di dedurre le spese. Con Dario abbiamo dunque pensato di industrializzare questo processo di acquisizione di immobili, di ristrutturazione e di sublocazione, che offriva i vantaggi di un’attività liquida, poiché di fatto non siamo proprietari di immobili. “Il mondo degli affitti a breve termine, cui oggi tutti pensano, era già ricco di società di intermediazione più o meno serie, ma noi puntammo sul lungo periodo – il classico contratto 4+4 –, ancora relegato ai singoli proprietari. Già il primo anno abbiamo preso in gestione 15 grandi appartamenti che, in quegli anni di crisi, erano particolarmente difficili da affittare per i proprietari. Noi li ridisegnavamo, facevamo fare i lavori (a spese del proprietario o detraendo successivamente dal nostro affitto) e li mettevamo su internet; canale da me amato fin dai tempi dell’università quando fondai il primo social network italiano basato sui protocolli di messaggistica istantanea Irc, le vecchie chat”, racconta il quarantaduenne architetto. “Oggi gestiamo 600 unità abitative (stanze, ndr) affittate a professionisti – il 60% – e studenti. Ogni affittuario ha un contratto a sé, slegato da quelli dei coinquilini, da cui può dare disdetta con tre mesi di anticipo”. “Grazie ai risultati raggiunti oggi riteniamo di essere molto credibili sul mercato e siamo pronti a un aumento di capitale sociale, attraverso il quale inseriremo nuovi azionisti in azienda. Stiamo richiedendo una due diligence con una società di revisione qualificata” riprende la parola Mortini. “Non vediamo invece una quotazione in Borsa su un breve periodo ma su un orizzonte più lungo, forti di un business plan già oggi solido. Da ex-operatore della consulenza mi faccia però dire che la quotazione in borsa non fa per tutte le aziende, nonostante quello che si dice oggi; se è solo un modo per raccogliere denaro meglio evitare. È disonestà intellettuale di partenza. Riguardo ai Pir invece” prosegue il manager cinquantenne “il problema oggi è che le banche sono piene di liquidità ma, come è emerso, solo una piccola percentuale di queste masse arriva realmente alle aziende. Noi ci abbiamo ragionato insieme ad alcuni consulenti finanziari ma i paletti per ottenere capitali dai Pir sono tanti e tali che abbiamo preferito evitare. Attraverso un Pir ci si rimette oltretutto nelle mani del sistema delle banche, dal quale voglio stare lontano”. “Più che di liquidità noi siamo costantemente alla ricerca di immobili” aggiunge Zampini. “A un investitore, quindi, suggerirei quale appartamento comprare piuttosto che chiedergli denaro. Di recente abbiamo preso 80 stanze da Reale Mutua e una palazzina da 22 loft. L’investimento immobiliare dipende dall’uso che se ne vuole fare: questa è la prima regola. A noi va bene un’immobile vicino alla metropolitana o ai treni, più grande possibile così da poterlo dividere meglio. Stiamo facendo anche investimenti nell’hinterland perché i paesi delle città metropolitana saranno presto una parte indistinguibile di Milano. Al momento stiamo infatti reinvestendo gli utili di FinLibera nella società stessa e nella nostra seconda società, EcoLibera, che si propone di realizzare villette che producono più energia – 20 kw – di quella che consumano e dotate di un appartamento satellite da affittare. Dei veri e proprie beni rifugio che non potranno che aumentare il proprio valore. “Stiamo pensando in questo senso di strutturare per queste un prodotto finanziario con una casa nuova dal costo di 300-500mila euro con un ritorno certo sul decennio e un flusso costante di liquidità da affitti nell’ordine del 7-8%. Vorrei strutturare questa idea come prodotto finanziario e proporlo ai clienti di consulenti e private banker. Un investimento sì immobiliare, ma del tutto innovativo”.
Antonella Massari
Private banker: Quattro profili a confronto
BUSINESS : AIPB
Per gli operatori, conoscere il profilo di un pb è fondamentale per fidelizzarlo. Aipb ne distingue quattro tipologie diverse a seconda dell’atteggiamento: stay, follow, show e share
Il banker rappresenta senza alcun dubbio la figura chiave del servizio di private banking; la sua presenza, infatti, è ritenuta distintiva del servizio dal 74% dei clienti private. Da questo deriva per gli operatori la necessità di avere nella loro squadra banker fidelizzati e ingaggiati, che condividano appieno la visione dell’istituzione per cui lavorano, siano essi dipendenti o agenti. Conoscere nell’intimo e capire le necessità, i sentiment, le aspettative, le aspirazioni e il grado di adesione ai valori dell’impresa dei banker rappresenta una leva fondamentale per l’efficacia delle politiche aziendali. L’Associazione italiana private banking, negli anni, ha tenuto monitorata la figura del private banker, ascoltando direttamente la loro voce, misurandone la soddisfazione per captare i trend evolutivi della professione e, in sintesi, testando la qualità della loro relazione con l’istituzione di cui fanno parte. In particolare, nell’ultima ricerca prodotta – risultato dell’ascolto di 2000 banker su tutto il territorio nazionale e rappresentativi di tutto il settore – Aipb ha utilizzato la vasta disponibilità di dati derivanti dalle interviste sul campo per suddividere la popolazione in quattro profili tipo. Qui si riportano in estrema sintesi le caratteristiche di quattro tipologie di banker alle quali si adattano politiche di intervento diverse per aumentarne la soddisfazione, la fidelizzazione ma anche l’allineamento con gli obiettivi aziendali. Per i dettagli si rimanda allo studio Private Banker Monitor 2017, prodotto in collaborazione con GFK. Nel complesso, il livello di soddisfazione dei private banker negli anni è arrivato a consolidarsi a un valore decisamente elevato, pari all’89%. Il dato medio però nasconde situazioni diversificate alle quali vanno associati interventi modulati. Nella ricerca si sono definite le quattro tipologie con dei verbi (in inglese per dovere di sintesi) che ne rappresentano l’atteggiamento: stay, follow, show e share. Il banker stay (22% del totale campione), tradizionalista e poco propenso a cambiare, si sente realizzato e leader, percepisce la relazione con la banca e con i clienti come banker-centrica e deve essere guidato e supportato nell’evoluzione professionale. Il follow (27% del totale), insoddisfatto del rapporto con la banca, si sente poco supportato nella gestione dei clienti e nelle sfide che pone la professione: ha bisogno di nuove guide perché ha la tendenza a inseguire schemi professionali superati. Lo show (27% del totale), bisognoso di trovarsi al centro di un sistema relazionale, vede proprio nelle capacità relazionali la chiave del successo professionale e della fidelizzazione del cliente. Lo share (24% del totale), infine, amante del lavoro in team e alleato della banca, adotta un approccio banca/team-centrico, punta sulla condivisione e su questa costruisce le sue sicurezze. Una volta individuate e valorizzate le peculiarità del singolo banker, si possono individuare azioni più mirate ed efficaci per il raggiungimento degli obiettivi economici e strategici. La segmentazione della popolazione dei banker rende più efficace il disegno di strategie di company branding e di “marketing interno” per migliorare la soddisfazione dei banker e aumentarne fedeltà e coinvolgimento. In definitiva, costruire una relazione più stretta e basata su valori e obiettivi condivisi tra banca e banker favorisce la costruzione di un servizio di consulenza a reale valore aggiunto per il cliente; in altre parole, un servizio che possa vincere la concorrenza in un mercato sempre più attrattivo e competitivo.
leisure : Affari di lusso
Il nuovo motoryacht di Palumbo Palumbo Superyachts, la divisione dedicata allo yachting dell’omonimo gruppo cantieristico napoletano, ha annunciato la vendita del nuovo motor yacht di 50 metri targato Columbus Yachts a un armatore. Esterni e interni del Columbus S50, che sarà costruito interamente in alluminio con una lunghezza di 49,5 metri e una stazza di 499 tonnellate, sono stati progettati da Luca Dini Design – in collaborazione con gli uffici interni di Palumbo Superyachts –, al suo secondo incarico con il gruppo partenopeo dopo aver già lavorato al nuovo Isa Alloy di 43 metri in costruzione nel cantiere di Ancona. Caratterizzato da numerose soluzioni inedite progettate su richiesta dell’armatore, il Columbus S50 potrà accogliere 11 ospiti in cinque cabine e ben 11 membri dell’equipaggio in sette. La costruzione del maxi yacht appena venduto inizierà a breve nello stesso cantiere marchigiano: Columbus S50 sarà consegnato al suo armatore nell’estate 2020. In macchina con l’aurora boreale Con il prototipo S90 Ambience Concept, che ha debuttato ufficialmente al Salone dell’auto di Pechino, la Volvo ha proposto un nuovo modo di viaggiare sulle automobili di lusso che punta a offrire ai passeggeri un’esperienza sensoriale slegata dall’ambiente esterno. L’aurora boreale proiettata sul cielo della vettura e fragranze di abeti della Scandinavia che invadono l’abitacolo sono solo alcune delle esperienze che si possono vivere a bordo della S90. La vettura ripropone la stessa configurazione a tre posti della S90 Excellence, modello top di gamma del brand svedese, pensata per esaltare il comfort di viaggio di chi può permettersi di viaggiare con l’autista. Grazie ai comandi di gestione del sistema, sincronizzati con un’app, utilizzando il proprio smartphone i passeggeri posteriori possono selezionare l’atmosfera di bordo più adatta al loro umore, scegliendo fra sette temi visivi che, oltre all’aurora boreale, comprendono, tra gli altri, la foresta scandinava, il lago dei cigni e la pioggia. Le Hawaii della Cina Fosun punta al turismo: il gruppo cinese ha lanciato il resort di lusso Atlantis Sanya. La scommessa è quella di trasformare il grattacielo a forma di vela da 1,4 miliardi di euro in un’icona di Hainan, la località turistica da molti considerata come le Hawaii della Cina. Il resort, di proprietà di Fosun e gestito da Kerzner International, occupa un’area di 540mila metri quadrati – pari a 66 campi da calcio –, ha 1.314 stanze e va ad aggiungersi a un ampio portafoglio di proprietà di Fosun Tourism and Culture Group, la branch del lifestyle del gruppo, che già possiede Club Med e conta una partecipazione nella canadese Cirque du Soleil. La mossa del conglomerato cinese è in linea con le mire del governo centrale di dare una spinta al turismo di Hainan, già molto popolare tra i vacanzieri orientali. Per le istituzioni, il turismo è concepito come una delle chiavi di volta per spingere i consumi interni.
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